venerdì 26 aprile 2024

Tutta colpa di Mosè?

 

Oggi anche Sigismund Schlomo Freud sarebbe a rischio di essere accusato di antisemitismo. Nella sua casa d’esilio a Londra, mandò in tipografia il suo ultimo libro, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, che aveva cominciato a scrivere a Vienna in piena furia nazista. Questo libro capovolge l’ebraismo: Freud sostiene che Mosè non era ebreo, ma egiziano, un sacerdote del culto di Akhenaton (Amenhotep IV) che sfuggì dall’Egitto dopo la morte del faraone (*).

Freud nel saggio traccia un parallelismo tra l’evoluzione del popolo ebraico e i casi di nevrosi individuale. Inoltre, sostiene che il senso di colpa per l’omicidio (ipotizzato) di Mosè venne ereditato attraverso le generazioni. Ipotizza che i Mosè furono addirittura due. Roba da far tremare i polsi al più saldo dei rabbini.

Freud scrisse anche un romanzo incentrato sulla figura di Mosè, ma lo tenne in un cassetto. Ritrovato nel 1979 da Pier Cesare Bori, il testo è pubblicato nel 2021 in Francia, e nel 2022 in Italia (dice Wikipedia, in realtà il testo fu pubblicato già nel 1977 da Bollati Boringhieri sui manoscritti messi a disposizione da Anna Freud e riedito da Castelvecchi nel 2022).

Proprio a proposito del particolarismo etico del popolo eletto mi sarebbe piaciuto scrivere sul Dio di Abramo, che da almeno tre secoli è in discussione e tuttavia si continua ad uccidere in suo nome e mettendo i morti a credito nel suo conto. Scrivere anche sull’islamismo radicale come flagello (l’ho fatto più volte), e poi sul revisionismo settario che imperversa non solo nell’America trumpiana.

Ed invece eccomi alle prese con i sostenitori delle stragi perpetrate da Israele, suprematisti occidentali ideologicamente simili a certa altra gente che frequenta le madrase. Una specie di gigantesco Parenzo collettivo che in definitiva e paradossalmente ha poco rispetto della memoria tragica dell’ebraismo.

Hanno perso la battaglia dei cuori e delle menti, perciò hanno innescato una controversia sulle proteste studentesche: vogliono che parliamo di qualcosa di diverso dagli assassinî di massa di Gaza.

Stiamo parlando di decine di migliaia di assassinati, specie donne e bambini, da parte di quei serial killer che si fanno chiamare esercito israeliano. Negli ultimi sei mesi, la risposta dei terroristi israeliani alle brutali azioni terroristiche di Hamas in ottobre è stata così sproporzionata, indiscriminata e selvaggia che i sostenitori di ciò che sta compiendo Israele non solo hanno perso qualsiasi livello morale che avrebbero potuto avere, ma hanno anche perso l’opinione pubblica mondiale.

Questo il reale e spudorato motivo dei sostenitori e complici di Israele per innescare una controversia e attirare l’attenzione dei media (controllati dalla grande finanza) e dei politici (notoriamente schierati per motivi elettorali e altro) per distogliere l’attenzione da quello che è stato ampiamente dichiarato essere un genocidio a Gaza (sia chiaro, le questioni nominalistiche non hanno troppa importanza), facendo allo stesso tempo diventare loro stessi, i sostenitori e complici di questo crimine, le vere vittime.

All’inizio di questa settimana, un attacco aereo israeliano ha ucciso ventidue persone mentre dormivano, in gran parte appartenenti a una famiglia allargata, diciotto dei quali bambini. Prima di ciò, gli attacchi contro due abitazioni avevano ucciso nove persone, tra cui sei bambini, mentre un uomo aveva perso tutta la sua famiglia, compresa la moglie, i figli e i nipoti, quando Israele aveva bombardato la sua casa. E prima ancora, cinque bambini erano tra gli undici palestinesi uccisi in una serie di attacchi a Rafah, in cui sono stati rinchiusi 1,5 milioni di palestinesi sfollati. Non voglio tracciare alcun parallelo storico, ma ciò dovrebbe far pensare.

All’ospedale Nasser di Khan Younis, sono state scoperte una serie di fosse comuni con più di trecento palestinesi morti, alcuni dei quali con le mani legate, mentre un’altra fossa comune è stata scavata presso le rovine di Al-Shifa, ospedale dove furono riesumati quasi quattrocento corpi. Allo stesso tempo, l’affamamento che Israele ha deliberatamente architettato continua a fare le sue vittime poiché sia gli operatori umanitari delle Nazioni Unite che il massimo funzionario della politica estera dell’UE riferiscono che ci sono stati “pochissimi cambiamenti significativi” in termini di aiuti umanitari in arrivo e che il loro ingresso è ancora “ostacolato” da Israele.

Tenendo a mente questi esempi delle stragi e della distruzione che si verificano a Gaza da mesi, qualsiasi persona ragionevole potrebbe chiedersi: come diavolo è possibile che qualcuno possa dirsi di essere più preoccupato per degli studenti universitari americani e italiani che occasionalmente dicono qualcosa di inappropriato o cose proprio stupide?

Vengono pubblicati video in cui si vede una persona con un tipico cappello religioso ebraico camminare, filmandosi, tra un’ala di studenti senza che nulla di significativo accada. È evidentemente un provocatore. Ebbene si tratta di un fatto inesistente, ma ciò è stato sufficiente per accostare questo filmato a una foto che ritraee elementi delle camicie brune austriache che nel 1938 impedivano, si legge nella didascalia, agli studenti ebrei di entrare in università.

Penso che ai sionisti e ai loro sodali non convenga in questo momento fare la gara degli accostamenti fotografici.

Una studentessa ebrea, Sahar Tartak, ha affermato (senza alcuna prova) di essere stata “pugnalata in un occhio” da un manifestante con l’asta della “bandierina”. Nel caso fosse stata colpita volontariamente si tratta di un fatto grave ed esecrabile, ma non è noto se si sia trattato di un fatto reale, eventualmente di un incidente o di un’azione intenzionale, ad ogni modo Sahar non ha riportato nemmeno un graffio e “sta bene”. L’episodio, basato esclusivamente sul racconto di Sahar e su nessun altro elemento, ha avuto un rilievo mediatico internazionale abnorme.

La storia della “pugnalata nell’occhio” è stata riportata acriticamente in lungo e in largo in testate come il New York Times, la CNN ha messo le proteste nei campus come prima notizia, seppellendo i resoconti sulle atrocità israeliane menzionate sopra. È possibile che l’ebraismo, che in occidente non deve seriamente temere più nulla, abbia bisogno di questa robaccia vergognosa per difendere le proprie ragioni? Certo che ne ha bisogno, ma per altri motivi.

Con questa propaganda, l’urgenza politica di condizionare gli aiuti statunitensi a Israele per un cessate il fuoco è svanita, e i politici statunitensi minacciano misure come aizzare la Guardia Nazionale contro gli studenti (mentre forniscono altri aiuti militari a Israele per continuare con altre atrocità). Vale rammentare che il 4 maggio 1970, la Guardia nazionale dell’Ohio, schierata dalla Casa Bianca di Nixon e dal governatore dell’Ohio, assassinò quattro studenti che manifestavano contro la guerra in Vietnam, ferendone altri nove.

Martedì scorso, il Dipartimento di polizia di New York ha effettuato centinaia di fermi e arresti di membri di Jewish Voice for Peace che si erano riuniti per bloccare il traffico a Grand Army Plaza, Brooklyn, vicino alla casa del senatore democratico Chuck Schumer, esponendo uno striscione al centro della piazza che diceva: “Nessuno è libero finché tutti non sono liberi. Gli ebrei dicono di smettere di armare Israele”.

La sera prima, la polizia di New York ha arrestato oltre 120 studenti e docenti della New York University, che chiedevano la fine della complicità nel genocidio. Sempre lunedì circa 50 studenti manifestanti dell’Università Yale di New Haven, nel Connecticut, sono stati arrestati, mentre nove studenti che facevano parte di un accampamento filo-palestinese presso l’Università del Minnesota sono stati arrestati martedì mattina. Eccetera.

Il diritto di protestare è un diritto fondamentale. La falsa identificazione dell’opposizione al massacro dei palestinesi con l’antisemitismo mira a criminalizzare qualsiasi opposizione ai veri crimini, quelli del sionismo e dell’imperialismo, a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da quei fatti. Più in generale l’obiettivo è prevenire l’emergere di un movimento giovanile molto più ampio contro la guerra.

(*) Mosè non ha potuto condurre gli ebrei fuori dall’Egitto verso la «terra promessa», per la semplice ragione che, in quel tempo (XIII secolo prima della nostra era), la terra promessa era in mano agli egiziani. Del resto non si trova traccia di una rivolta di schiavi nell’impero dei faraoni, né di una veloce conquista del paese di Canaan ad opera di un elemento straniero. 

giovedì 25 aprile 2024

Non tutti subito

 


È vero, ovviamente, però è doveroso ricordare che gli Usa non hanno combattuto e vinto da soli. Tutti coloro che hanno combattuto contro il nazifascismo hanno dato il proprio contributo. Non tutti subito, perché in Spagna, dal 1936 al 1939, la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti assunsero la posizione di Ponzio Pilato, se non peggio. A Londra e Washington consideravano Mussolini un grande statista (Time gli dedicava le sue copertine e altri gli scrivevano lettere amorose). Non era un segreto per nessuno lauspicio che Hitler attaccasse ad est e non ad ovest.

La liberazione dai nazifascisti (tedeschi, italiani, finlandesi, croati, rumeni, ungheresi, slovacchi) di Stalingrado, Leningrado (assedio di tre anni che costò 900.000 civili morti), Varsavia, Auschwitz, Praga, Bratislava, Budapest, Vienna e Berlino, ha richiesto il sangue di più di 20 milioni di sovietici. Solo nella battaglia di Berlino i caduti dell’Armata rossa furono 80.000.

L’invasione dell’Unione Sovietica, l’operazione Barbarossa, è considerata la più grande operazione militare della storia. Il “fronte orientale” fu il più grande teatro di operazioni della IIGM. Sul fronte orientale combatterono e morirono più persone che in tutte le altre campagne della IIGM messe insieme. I combattimenti e le perdite della Germania nazista sul fronte orientale la resero vulnerabile alle invasioni anglo-americane in Italia e Francia, determinandone la totale sconfitta. 

Più morti, più morti

 

Un bel problema se ottant’anni dopo il 28% non è antifascista. Le buone abitudini non si possono perdere. A sentire che cosa dicono certi ministri (e altre glorie surrealiste) c’è da pensare che certe insolenze gratuite e imbecillità, il gusto per l’involontario paradosso, distinguano i fascisti (se preferite: i fascistoidi) da chi fascista non è.

Ma che cosa significa essere antifascisti in un paese in prestito alla Nato come l’Italia? Non si può avere simpatia per gli stronzi, ma neanche per la melma di certo antifascismo selettivo e a geometria variabile. Di quelli che non spendono una parola per le stragi a Gaza, per esempio. Gli implacabili filosofi del liberalismo che salutano con giubilo e senza nessun punto interrogativo l’invio di missili a Kiev. Dove vogliono che arrivino i missili, a Mosca? Ok. Poi, di rimando? Su twitter e altro non smettono mai di congratularsi a vicenda, ma saranno i primi a imboscarsi quando tutto andrà storto.

mercoledì 24 aprile 2024

Il diritto e il rovescio del più forte

 

Scrivevo ieri, a proposito di “libertà e uguaglianza”, che si tratta in genere di goffe esercitazioni scolastiche di coloro che vorrebbero, a parole e molto meno nei fatti, farsi rappresentanti non degli interessi di chi patisce questi rapporti, ma degli interessi dell’essere umano, dell’uomo in genere; dell’uomo che non appartiene a nessuna classe, anzi neppure alla realtà.

Soggiungevo che senza toccare i rapporti di proprietà, questi nobili propositi dichiarati di libertà e uguaglianza diventano un insieme di reazionario e utopistico.

Esempi se ne potrebbero fare molti, uno dei più classici riguarda il rapporto tra padrone e salariato. Partiamo dal Codice Civile del 1804, detto anche Codice Napoleonico, che tanta parte ha avuto nell’informare il diritto civile moderno. L’articolo 1781 regolava i rapporti tra padrone e lavoratore: “Il padrone si crede sulla sua affermazione, per l’ammontare della paga, per il pagamento della retribuzione dell’anno trascorso e delle rate corrisposte per l’anno in corso”.

In altre parole, il padrone beneficiava di una presunzione di credibilità e spettava al dipendente dimostrare il contrario. Questa disuguaglianza di discorso tra padrone e lavoratore la dice lunga sulla visione del legislatore dell’epoca, più preoccupato degli interessi dei proprietari che di quelli dei lavoratori. Il diritto del lavoro verrà costruito lentamente, con l’obiettivo di riequilibrare i rapporti tra padrone e lavoratore, allontanandosi dal diritto comune che si basa sul principio ottimistico che due contraenti sono su un piano di parità. Cosa che non avviene nel mondo del lavoro poiché il proletario è in una posizione di inferiorità rispetto a chi ha il potere di assumerlo e licenziarlo a suo piacimento.

Il diritto attuale, almeno in linea teorica e di principio, tende a tenere conto delle molteplici forme di disuguaglianze tra gli individui, e in qualche modo si sforza di limitarne le conseguenze più gravi, consolidando i diritti dei più deboli e attenuando la posizione egemonica dei più forti. Bellissima ambizione, che però non può in alcun caso superare la contraddizione che sta alla base dei rapporti sociali tra le classi.

Questo discorso sull’uguaglianza, tanto cara al liberalismo progressista, si può estendere a ogni aspetto dei rapporti di classe. Nella realtà di ogni giorno, le cose stanno diversamente. Basti pensare ai tagli di spesa che riguardano la sanità pubblica e al fatto che ciò favorisce quella privata. Nessun problema per chi è ricco o benestante, costoro possono accedere benissimo alle cure della sanità privata. Lo stesso vale per la scuola: che senso ha aiutare le famiglie dei bei quartieri a iscrivere i propri figli alle scuole private visto che comunque possono accedervi?

Ora, apparentemente, salto di palo in frasca, parando di diritti e di uguaglianza in rapporto alla vicenda che vede da quasi ottant’anni contrapporsi israeliani e palestinesi. Si tratta della stessa logica che sottende il diritto privato borghese, la stessa retorica sull’uguaglianza basata su una disparità di fatto che non può essere in alcun modo colmata nell’ambito dei rapporti di proprietà borghese.

La settimana scorsa, mentre noi tutti (o quasi) eravamo impegnati a stabilire se i fascisti nostrani siano davvero fascisti oppure solo l’espressione di una deriva fascistoide, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato contro un progetto di risoluzione che proponeva di garantire alla Palestina la piena adesione alle Nazioni Unite. Il che avrebbe portato al riconoscimento dell’esistenza di uno Stato palestinese. Gli Stati Uniti hanno usato il loro veto per opporsi all’adozione di questa risoluzione e il loro vice ambasciatore, Robert Wood, lo ha giustificato in questi termini: “Questo voto [statunitense] non riflette l’opposizione a uno Stato palestinese, ma tale riconoscimento può nascere solo attraverso negoziati diretti tra le parti”.

Non abbiamo l’impressione di leggere un passo dell’antico Codice napoleonico del 1804? Le controversie tra padrone e dipendente saranno risolte dai rapporti di forza tra loro, senza interventi esterni per riequilibrare le disuguaglianze tra le due parti.

Si tratta dello stesso ragionamento che il diplomatico americano ha adottato per palestinesi e israeliani: sono su un piano di (fittizia) parità e dunque solo dei “negoziati diretti tra le parti” decideranno l’esito della loro disputa. Nessuno terzo, nessun esterno al conflitto potrà agire per ristabilire un giusto equilibrio nelle loro relazioni. Che vinca il migliore, il più forte prevalga (tra l’altro con l’aiuto di armi e dollari statunitensi) e che il più debole scompaia per sempre.

Il liberalismo anglosassone si applica qui con incrollabile cinismo: ognuno deve difendersi da solo (se è palestinese), senza interventi esterni, senza l’aiuto di altri Stati, senza il sostegno di un’autorità internazionale riconosciuta. Il libero mercato in tutta la sua asettica crudeltà.

I palestinesi devono far valere i loro diritti contro lo Stato israeliano sulla base di una palese disuguaglianza, illustrata dalle decisioni della Corte Suprema israeliana che quasi sempre respinge i ricorsi presentati dai palestinesi espropriati delle loro terre dai coloni (coloni!). Poi, se reagiscono contro questi e altri soprusi e violenze, diventano dei terroristi che meritano l’annientamento con le armi generosamente fornite dai Ponzio Pilato statunitensi ed europei.

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