martedì 30 gennaio 2018

Se son contenti così ...


Le democrazie si distinguono dalle dittature poiché nelle prime è il popolo a scegliere liberamente e attraverso il voto chi legifera e governa in sua vece e per suo conto. Fosse così semplice, si eviterebbero discussioni infinite sul tema. Non già perché non sia formalmente così, ma perché allo stato pratico le cose vanno in modo opposto.

Partiamo da lontano. Nell’Atene classica, agli schiavi non era riconosciuto alcun diritto civile e politico, pur ricadendo sulle loro spalle tutto l’onere del lavoro. Anzi, proprio a ragione di tale motivo ad essi non era riconosciuto alcun diritto, e tanto più perché essi costituivano la maggioranza della popolazione, di modo che se fossero entrati nel gioco politico i rapporti di forza nella società ateniese si sarebbero capovolti in loro favore.

Nelle condizioni di allora, di democrazia diretta, i proprietari di schiavi e la plebe cittadina, nutriti dal duro lavoro dagli schiavi stessi, non avrebbero mai permesso accadesse nulla del genere. Anzi, una simile prospettiva non balenava nemmeno come ipotesi stravagante nella loro concezione dei rapporti sociali.

All’Atene del V secolo è unanimemente riconosciuto uno status di primazia per quanto riguarda l’origine della democrazia, senza che da ciò sorga qualche dubbio proprio alla luce di quella che per noi moderni dovrebbe assumersi come una palese contraddizione.

Molti secoli dopo è stata la borghesia a stravolgere definitivamente tale stato di cose, quando, scoprendo che nell’economia moderna fondata sulla proprietà privata l'essenza della ricchezza sta nello sfruttamento del lavoro formalmente libero, ha fatto della libertà individuale un diritto dell’uomo e della sua coscienza. Tutto ciò senza occuparsi del fatto che la proprietà privata dei mezzi di produzione conduce a compimento il suo dominio sugli uomini con le stesse pratiche conseguenze dello schiavismo antico.

Sta di fatto che il principio liberale della società borghese, dissimulando la realtà effettiva, poggia su quella stessa antica lacerazione: lo schiavo affrancato della proprietà fondiaria diventa lo schiavo dell’industria (*).

*

Agli schiavi moderni è stata concessa, da parte dei padroni della società, la possibilità di votare e scegliere da chi farsi rappresentare nei parlamenti. La cosa, come sappiamo, non è stata né facile né immediata. All’inizio il pericolo che i proletari, la maggioranza della popolazione, potessero prendere politicamente il sopravvento, costituiva un pericolo reale. Da ciò le tante resistenze a riconoscere il diritto di voto a tutti i proletari, così come alle donne, insomma il suffragio universale quale lo conosciamo oggi.

E quando, ugualmente, la borghesia avvertiva che la questione sociale, per dirla così, si faceva pericolosamente cogente, mandava i suoi Bava Beccaris a sedare col cannone gli affamati, o i Raffaele Alessandro Cadorna a domare la rivolta del sette e mezzo. Sul ruolo del variegato repertorio dei fascismi per “rimuovere” le cause politiche ed economiche della crisi è già stato scritto molto.

Oggi, in una situazione “normale”, non c’è più bisogno di far ricorso a despoti e generali. Semmai bastano i governi “tecnici”, le troike del FMI, il ricatto dello spread, ecc.. L’importante è che non vengano toccati i patrimoni, quelli grandi e anche quelli un po’ più modesti, come, per esempio, quei 100.000 conti correnti sopra il milione di euro nelle banche italiane (281mila famiglie con patrimoni finanziari sopra il milione, dati 2014). Quanti sono frutto di un bravo tributarista e di tanto nero?

Al resto ci pensano i media, ganglio vitale di questo sistema dominato dalle oligarchie per costruire consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali.

Riassumendo: non è vero che la schiavitù è stata abolita, gli hanno cambiato nome. Per lo schiavo antico avere un padrone era cosa normale. Lo stesso vale per lo schiavo moderno, il quale per educazione e tradizione chiama il suo padrone datore di lavoro, imprenditore, manager, ecc..

Vero che la proprietà è sempre più impersonale, i padroni se ne stanno riservati nei loro covi sorvegliati da sistemi elettronici e vigilati da guardie armate. Si godono le loro ricchezze accumulate comprando a giornata la vita dei loro schiavi. Il loro potere, del denaro, di evadere legalmente le imposte, di avere al proprio comando centinaia di migliaia di schiavi cui succhiare il sangue, è tutelato dalle leggi promulgate dai parlamenti dove siedono i culi di pietra che gli schiavi hanno eletto nell’illusione di poter cambiare la loro sorte. Votando, lo schiavo legittima la propria condizione di minorato, di sottomesso al potere del padrone e di disperato in balìa dell’arbitrio della burocrazia di Stato.

In attesa che il meraviglioso avvenire promesso dai partiti si realizzi.  

(*) Se Cicerone osservava che «tutti coloro che vendono la loro fatica e la loro industria, [così come] chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro, vende se stesso e si mette a livello degli schiavi» (Dei doveri, I, XLII), a sua volta Marx poteva scrivere senza smentita che se «Lo schiavo romano era legato al suo proprietario da catene, l’operaio salariato lo è al suo da invisibili fili. L’apparenza della sua autonomia è mantenuta dal continuo mutare dei padroni individuali e dalla fictio juris del contratto» (Il Capitale, I, cap. XXI).

3 commenti:

  1. Lo sono stato anch'io, per diverse volte, contento di votare, ovvero, persuaso che il voto fosse un momento alto della democrazia. Povero illuso.

    A proposito di schiavitù: anche dalle parti di Confindustria qualcuno, in tono swiftiano, tenta di solleticarne la reintroduzione. È evidente, non sono stupidi, seppur impediti a vedere da un'altra prospettiva.

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    1. infatti, se vedi verso la fine del post ho linkato la proposta di reintrodurre la schiavitù, seppure espressa in tono swiftiano. Il fatto è che non è necessario reintrodurla, ha solo cambiato nome.

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  2. I padroni sono bravissimi ad inventare sempre nuove Armi di Distrazione di massa.

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