martedì 12 aprile 2016

Capra e cavoli


Tanto la crisi è una tendenza necessaria del modo di produzione capitalistico, tanto più gli ideologi di ogni ordine e penna s’impegnano a risolvere il rebus di salvare capra e cavoli. Come ho già scritto, della rivoluzione in atto protagonista assoluto si mostra essere Monsieur le Capital et Mme la Bourgeoisie. Per il momento, ossia fino a quando reggerà il sempre più precario equilibrio tra economia capitalistica e rapporti sociali. Poi, il gioco cambierà. Personalmente guardo a questi processi con lo stesso atteggiamento con il quale un naturalista osserva certi fenomeni prodursi alle regioni equinoziali.


*

Scrive Bruno Jossa su Il Ponte:

Oggi, infatti, conosciamo un modo per liberarci del capitalismo senza violenza rivoluzionaria, in base a decisioni parlamentari, perché il lungo dibattito sulla teoria economica delle cooperative di produzione che si è avuto, a seguito di un celebre articolo di Ward del 1958, ha mostrato chiaramente che è possibile creare un sistema d’imprese gestite dai lavoratori, che è un nuovo modo di produzione nel senso di Marx e che, pur non essendo il paradiso in terra, può funzionare assai bene.

Non avevo mai letto, non almeno declinata in modo così esplicito, della possibilità di superamento di una formazione economico sociale, e dell’insieme dei rapporti sociali che le sono propri, “in base a decisioni parlamentari”. Dunque prendo atto che basterebbe organizzare, per legge, l’economia in un sistema d’imprese cooperative gestite direttamente dagli operai, et voilà il superamento del modo di produzione capitalistico sarebbe già un dato di fatto, o quantomeno un inizio “nel senso di Marx”.

Quando ci si occupa di questioni della cosiddetta “transizione”, uno degli errori più frequenti è dato dalla convinzione che il rapporto tra base economica e “sovrastruttura” sia, in sostanza, non di tipo dialettico ma causale, vale a dire che le diverse regioni della “sovrastruttura” siano unilateralmente condizionate, nel loro movimento, dalla base economica. Jossa non cade in questo errore, ma esattamente nel determinismo opposto, perciò gli effetti sono i medesimi, anzi, più comici.



Jossa va a pescare anche una citazione del 1864:

« … l’economia politica della classe operaia stava per riportare una vittoria ancora più grande sull’economia politica della proprietà. Parliamo del movimento cooperativo, specialmente delle fabbriche cooperative create dagli sforzi di pochi lavoratori intrepidi non aiutati da nessuno. Il valore di questi grandi esperimenti sociali non può mai essere apprezzato abbastanza. »

Bruno Jossa  non specifica da dove ha tratto la citazione. Queste parole fanno parte dell’Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale dei lavoratori, e dunque si tratta di un discorso e di una valutazione di circostanza di Marx che punta ad esaltare, in sede di associazionismo politico, gli sforzi compiuti dalle cooperative operaie, ma tutto ciò non ha nulla a che fare con il lavoro propriamente scientifico di Marx su questo tema.

Manipolando citazioni (*), i soggettivisti trasformano una realtà contraddittoria del capitalismo, che rende manifesta la necessità del suo superamento, in una realtà operante ed acquisita all’interno  stesso del modo di produzione capitalistico e del tutto compatibile con esso! In questo caso trasformando la produzione capitalistica di merci in produzione cooperativa di … merci!

Il ragionamento di Marx intende dimostrare non che la legge del valore si estingue già nel modo di produzione capitalistico (cambiando semplicemente forma giuridica allo sfruttamento, come del resto per altre vie avvenne nel cosiddetto socialismo reale), bensì che, ad un dato livello dell’accumulazione, la produzione di valori d’uso entra in contraddizione con le esigenze di valorizzazione del capitale, fenomeno che attualmente è sotto gli occhi di tutti.

Lo sviluppo delle forze produttive risulta così frenato dai rapporti di produzione capitalistici, vale a dire dai rapporti fondati su un modo specifico d’imporsi della legge del valore !!

In buona sostanza i soggettivisti negano il carattere storico e transitorio della legge del valore, attribuendole proprietà naturali, valide in tutte le epoche storiche senza eccezioni. In tal modo la forma-valore permane anche nel cooperativismo, pur avendo un contenuto diverso da quello che le è proprio nel modo di produzione capitalistico.

Concependo la forma come qualcosa di totalmente esterno al contenuto, come un involucro, i soggettivisti fingono d’ignorare che le categorie economiche sono l’espressione di rapporti di produzione storicamente determinati. Se la forma-valore sopravvive (anche se scompare la figura del capitalista classico e quant’altro vi si possa assimilare), quindi, è perché i rapporti di produzione effettivi, reali, che ne giustificano l’esistenza sono ancora di tipo capitalistico. Pertanto, parlare di “gestione democratica delle imprese” è dire, anzi ripetere, vecchie scemenze.

(*) Che si tratti di manipolazioni è presto dimostrato. Il testo letto da Marx così inizia:

«Ma si aveva di riserva una vittoria ben più grande dell'economia politica del lavoro sull'economia politica del capitale. Intendiamo parlare del movimento cooperativo e, specialmente, delle manifatture cooperative erette attraverso gli sforzi spontanei di alcuni uomini audaci. Il valore di queste grandi esperienze sociali non può essere esaltato al di sopra della realtà […].

5 commenti:

  1. «Ad un dato livello dell’accumulazione, la produzione di valori d’uso entra in contraddizione con le esigenze di valorizzazione del capitale, fenomeno che attualmente è sotto gli occhi di tutti.»

    Sotto gli occhi, ma non veduto. Perché? Se escludiamo per un attimo (un attimo solo) gli interessi di classe e le prospettive riformiste offerte dai cantori del Capitale, non potrebbe essere che la mancata comprensione del fenomeno sia altresì da addebitare al fatto che il movimento del Capitale non è mai visto come un tutto unico ma solo nelle varie declinazioni nazionali (o comunitarie) o nella specificità dei vari settori produttivi, senza cioè che il sistema produttivo capitalistico venga studiato e analizzato nella sua complessità?
    (spero di essermi spiegato)

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    1. eh no, mio caro Amico, non puoi escludere nemmeno per un istante, nemmeno per ipotesi, gli interessi peculiari ai quali soggiace la coscienza. la coscienza individuale diventa tale soltanto realizzandosi nelle forme ideologiche di un dato ambiente sociale di una data epoca. che il singolo possa elevarsi da tale condizione è possibile, esigerlo dalla massa è vano.

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  2. .." il sempre più precario equilibrio tra economia capitalistica e rapporti sociali.."

    Si potrebbe dire : anche molto più "fantasioso" e "creativo", quasi quanto un'opera di Fuksas,(che solo la mia profonda ignoranza non comprende)..

    caino

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  3. Che si tratti di manipolazioni è presto dimostrato.
    Nonostante lo sappia da sempre resto sempre basito dalla disonesta' morale della "classe" degli "intellettuali di servizio".
    Cosa costoro non farebbero per una "cattedra" o una qualche " direzione " ? :-)
    ws

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    1. il bello è che dà il rif. di pagina senza indicare l'opera.

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