sabato 16 gennaio 2016

Chi è il gatto e chi il topo?


Nei decenni successivi al dopoguerra venne maturando quel patto sociale tra le classi degli sfruttati e quelle degli sfruttatori che aveva la sua codificazione nella Costituzione. Si basava sulla mediazione politica degli interessi delle varie classi, e a una certa data trovò nelle lotte operaie l’occasione per rafforzare le aspirazioni politiche ed economiche dei ceti intermedi. Acqua passata.

Poi è venuto passo-passo “il rinvigorimento, su base tecnocratica, del modo di produzione capitalistico” (*), il prevalere del “mercato” e dell’odiologia neoliberista, il mutare del quadro internazionale. L’originario patto sociale va all’aria e i soggetti mediatori sono travolti, sul piano politico si dispiega la svolta controrivoluzionaria in tutta la sua brutalità antiproletaria.

L’esito di queste trasformazioni “da cui non si torna più indietro” oggi lo possiamo apprezzare nelle infinite lacerazioni sociali, nello sfaldamento istituzionale, nella crescente repulsione cui è oggetto la classe politica e l’astensione di massa alle elezioni. Tuttavia, bene o male, il Titanic non è ancora affondato e l’orchestra è impegnata in melodie statistiche e la servitù nella consueta mistificazione degli antagonismi di classe.



La crisi è ormai un dato strutturale e irreversibile. Alla fine del famoso tunnel non si vede nessuna reale possibilità di ripresa; ogni politica economica deve avere quindi come asse centrale l’attacco frontale e generalizzato alle classi lavoratrici, alle condizioni di vita e di lavoro e a qualsiasi forma di autonomia politica (obiettivo ampiamente raggiunto).

L’establishment politico nazionale ha ben chiare le minacce che presenta la nuova fase del capitalismo e il disordine internazionale, il pericolo in termini di consenso delle politiche di rigore che puntando al risanamento finanziario aggiungono per contro altra recessione. Da qui vengono alcuni dei motivi della ridicola jacquerie tra il cameriere pro tempore di palazzo Chigi e l’élite politica e tecnocratica europea di obbedienza berlinese.

Accompagnata dal declino inesorabile della piccola manifattura e del commercio c.d. di prossimità, la dinamica tecnologica mostra l’impossibilità di mantenere un tasso di occupazione sufficiente a garantire un quadro di stabilità sociale. Per tamponare si sarà costretti a concedere una qualche forma di sussidio a quelle moltitudini, soprattutto giovanili, che si trovano sbandate e alla canna del gas.

C’è dunque bisogno di “flessibilità” sul deficit, ma in alcun caso però il bluff potrà reggere finanziariamente molto a lungo, poiché il debito pubblico continua a correre in termini assoluti nonostante le tante vantate riforme. Tale tendenza non muta poiché il sistema regge sulla spesa pubblica e separare il sistema dei partiti dallo Stato significherebbe, per come si è venuto a determinare storicamente, distruggere lo Stato stesso.


Sullo sfondo si muovono le dinamiche capitalistiche, e tra queste prima di tutte la crisi finanziaria mondiale. Crisi che non potrà non avere – a breve medio termine – riflessi decisivi sulla voragine del debito e dunque sulla sostenibilità del sistema. Debito pubblico che è in mano largamente alle banche, il cui destino e in gran parte legato alle decisioni prese jenseits der alpen. Banche e istituzioni europee con le quali i Dulcamara nostrani credono di poter giocare come al gatto con il topo.

(*) Dall’interrogatorio di Aldo Moro:

“Di fronte a molteplici richieste circa gli assetti economici sociali dell’Europa di domani, ed in essa dell’Italia, devo dire onestamente che quello che si ha di mira è il rinvigorimento, su base tecnocratica, del modo di produzione capitalistico […]. Ma il nerbo della nuova economia, assunto come condizione di efficienza, è l’imprenditorialità privata ed anche pubblica con opportuna divisione del lavoro. Questo modo di essere dell’Europa strettamente legata all’America e da essa condizionata, non varia con il mutare, in generale, degli assetti interni dei vari Paesi, come si riscontra nella fiducia parimenti accordata a Governi Laburisti o Conservatori in Inghilterra come a Governi socialdemocratici o democristiani in Germania occidentale. Anzi qualche volta a maggior favore è andato alle formule socialdemocratiche nell’affermarsi di un’ideologia di fondo produttivistica e tecnocratica Mitteleuropea. È noto come questo indirizzo e questo spirito siano coltivati da libere organizzazioni paragovernative […].”

Nessun commento:

Posta un commento