domenica 8 novembre 2015

Le petit pénis de Napoléon le grand / 2



Per rifarsi al caso di N., egli contrasse la malaria (la febbre terzana) quando era ancora un giovane ufficiale ad Auxonne, poi la scabbia durante l’assedio di Tolone. Quest’ultima malattia scomparve ma l’infezione era solo indebolita e compromise per lungo tempo la sua salute e quasi gli costò la vita. Per tale motivo sarà sempre tormentato da una sospetta dermatite pruriginosa, e tuttavia ciò non gli impedirà di riuscire vincitore in molte battaglie e campagne. Senza dire poi di un’ipotesi clinica assai coerente che sospetta fosse affetto da tubercolosi (ad ogni modo di un’affezione polmonare cronica), patologia di cui morì la sorella Paolina e forse anche Elisa, nonostante si dica finita di cancro, e sicuramente il figlio di N., il re di Roma.

Sarebbe qui interessante esaminare l’anamnesi clinica del prigioniero di Sant’Elena dal suo arrivo nell’isola fino al suo decesso. Ad ogni modo, per ragioni di spazio, va rilevato che già dalla tarda primavera del 1816 lamenta insonnia, cefalea e dolori diffusi e dall’autunno del 1817 sono segnalati ipostenia agli arti inferiori, edema alle caviglie e dolori alla parte destra dell’addome. Quest’ultimo dato porta a ritenere – e in ciò crede anche il malato stesso – che sia stato colto da epatite, malattia alla quale non sfuggono gli europei che vivono nell’isola, chiaramente per le condizioni igieniche in cui vivono e che provocano anche frequenti disturbi intestinali ai quali non sfugge Napoleone.

Altresì interessante è il racconto del caso dei due medici inglesi che avevano in cura N. e che in successione vengono allontanati dall’isola poiché avevano osato dichiarare che il prigioniero era affetto da epatite, con ciò implicitamente gettando un’ombra sulla condizioni di sopravvivenza in cui era costretto Napoleone. Per tale fatto, uno dei due medici, Martin John Stokoe, fu addirittura processato e radiato dalla marina sospettandolo di collusione col prigioniero. L’altro medico, rientrato in patria, scriverà un libro contro Hudson Lowe, il tristemente celebre carceriere di N..



Ad ogni modo, per farla breve, è assolutamente certo, in base alla sintomatologia clinica ma soprattutto ai dati anatomo-patologici di cui siamo in possesso, che Napoleone fosse affetto da un adenocarcinoma gastrico, ed egli era a sua volta al corrente e ossessionato dalla consapevolezza della predisposizione famigliare, e dunque informato sulla diagnosi autoptica relativa a suo padre.

Tuttavia la trasmissione della predisposizione al cancro non aggiunge nulla sulle cause dirette ed efficienti del decesso, posto anche il fatto che il tumore di cui morì il padre di N. era di natura completamente diversa (carcinoma tipo I, polipoide). Il fatto che al momento della morte si fosse prodotta una lesione maligna allo stomaco e che questa fosse in fase piuttosto avanzata, stando a ricerche condotte anche di recente al massimo livello scientifico, non significa però che N. sia morto per conseguenza diretta e immediata di tale lesione dacché manca la traccia della necessaria complicanza che conduce a morte e, in particolare, l’assenza di un’emorragia interna acuta.

E invece tutt’altro da scartare l’ipotesi che la causa del decesso (confutata quella di avvelenamento da arsenico) sia dipesa dalla somministrazione, nelle sue già molto compromesse condizioni, di una dose molto elevata di calomelano, a scopi purgativi, somministratagli da due medici inglesi. Da quel momento N. precipita verso la morte. Cinque o sei ore dopo la somministrazione di calomelano N. si libera di una grande quantità di feci nere, colore riferibile alla produzione di solfuro di mercurio, con una fortissima sudorazione e una compromissione del ritmo cardiaco. Se l’emorragia gastrica fosse in atto, essa non accenna ovviamente ad arrestarsi, ed è comunque a questo punto che il malato entra in coma.

Pierluigi Baima Bollone, discutibile come storico ma noto autore di un fortunato Manuale di medicina legale, in un suo recente libro dedicato a Napoleone, edito da Priuli & Verlucca, si chiede se la somministrazione di una così forte dose di purgante sia stata solo un errore dei due medici inglesi (il medico Antonmarchi, che poi eseguirà l’autopsia si mostrò contrario alla somministrazione), un malinteso, oppure un’azione cosciente per affrettarne il decesso. Non lo sapremo mai e ad ogni modo è assodato che la diagnosi di carcinoma gastrico non dava a Napoleone la prospettiva di sopravvivere che solo per poche settimane o qualche mese.

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E veniamo infine all’autopsia (*), effettuata alla presenza di numerosi medici (o sedicenti tali) e di altri testimoni. Ad eseguirla, come detto, fu Francesco Antonmarchi. Pare (pare) aver effettuato durante la necroscopia del 6 maggio prelievi anatomici clandestini. Ed è qui però che entra in scena l’abate Vignali, che assiste all’autopsia in qualità di segretario, ed è a lui attribuita la sottrazione del nobile pene del defunto. Si sono approssimate delle congetture sui motivi dell’asportazione del pene di N., e qui non è d’interesse verificarle e giudicarle.

Vignali è un tipo davvero singolare. Rientrato a bordo del Camel che cala l’ancora in Inghilterra a fine luglio 1821, dopo un breve soggiorno a Roma per informare Madame Mère e il cardinale Fesch che l’hanno inviato a Sant’Elena, rientra in Corsica, nella natia Vignale, frazione di Bisinchi di cui il padre Angelo-Giovanni è stato sindaco. Napoleone gli ha lasciato 1.000.000 di franchi e dovrà recarsi a Parigi per riscuoterne almeno una parte. Rientra in paese e la notte tra il 13 e il 14 giugno 1836 è ucciso da uno sparo in fronte mentre si trova alla finestra della sua abitazione. Il fratello minore si propone di vendicarlo e viene anch’egli ucciso con un colpo di pistola il 20 maggio 1838. Ciò che Vignali ha portato di oggetti di culto della cappella imperiale di Longwood, dopo la morte sua e del fratello, finisce nelle mani di un certo Pieraggi. Verranno ritrovati al Monte di Pietà di Parigi, recuperati e ora si trovano alla Malmaison. Altri “ricordi” da Sant’Elena, compreso “un tendine prelevato dal dottor Antonmarchi durante l’autopsia”, finisce nelle mani del dottor Rosenbach nel 1916. Il famigerato “tendine”, ossia il ritenuto pene di Napoleone, è finito poi in un’asta nel 1924. Ad ogni modo in rete vi sono articoli e riferimenti su cui ci si può sbizzarrire ad libitum.


(*) L’autopsia, richiesta dallo stesso Napoleone presagendo la fine imminente (sorvolo qui sui motivi della richiesta), fu eseguita dal dottor Antonmarchi, il quale nel verbale redatto nel 1825 descrive il torace e il suo contenuto. Vi sono tenaci aderenze pleuriche tra i polmoni e la parete, maggiori a sx, con un versamento sieroso nei due cavi, più abbondante a dx. Il lobo superiore del polmone sinistro è disseminato di tubercoli con alcune piccole caverne (non citati però nei verbali inglesi). I linfonodi dell’ilo e del mediastino sono ingrossati e caseificati. Il patologo non può peraltro sapere che si trova davanti un quadro tipico di tubercolosi avanzata, visto che la malattia sarà scoperta e riconosciuta nella sua evoluzione soltanto nella seconda metà del secolo. Antonmarchi osserva inoltre infiammazione cronica della trachea e dei bronchi, con abbondante catarro denso e vischioso. Eccetera.

Vi è da dire che tale referto, redatto anni dopo l’autopsia (il dottor Antonmarchi si rifiutò di fermare il verbale inglese adducendo di non conoscere la lingua), è stato contestato da varie fonti. Da ultimo, si può leggere sulla rivista Nature Clinical Practice Gastroenterologyand Hepatology, un articolo in cui è richiamato il ruolo dell’helicobacter pylori nel cancro gastrico. Si tratta certamente di un articolo che sotto l’aspetto clinico è molto più informato e illuminante di quanto possa fare sulla base delle mie raffazzonate nozioncine in materia. In un altro analogo articolo è scartata l’ipotesi della malattia dovuta alla somministrazione di sostanze quali il calomelano. Tuttavia posso dire a mia volta e a ragion veduta che la dose da cavallo di calomelano somministrata al moribondo non deve avergli fatto del bene, e ha deteriorato il già gravissimo quadro clinico e forse affrettata la morte, anche perché il calomelano deve essere conservato al riparo della luce perché altrimenti lentamente si altera e viene a separarsi mercurio metallico che si trasforma in sublimato corrosivo: Hg2Cl2 HgCl2 + Hg. Tutto ciò, a fronte dell’asportazione del pene di N., è molto meno interessante da leggere in un blog.


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