lunedì 12 gennaio 2015

Libertà di stampa e lotta di classe


Libertà di pensiero e di stampa è il diritto di chiunque di dire e pubblicare di tutto, salvo ciò che istiga a commettere violenze. Il resto spetta poi al buon gusto di chi scrive (e di chi legge). Così scrive il Condirettore de Il Fatto quotidiano. Come non essere d’accordo? E se scrivessi con pacate argomentazioni che il cosiddetto olocausto è una gigantesca esagerazione? Ok, lasciamo perdere le provocazioni stronze e passiamo ad altro, ma si tratta pur sempre di un esempio concreto di come il concetto di libertà di stampa sia sempre soggetto a interpretazioni e restrizioni.



Che cosa significa: “fermo restando il Codice penale per punire chi commette violenze, o istiga a commetterle”? E se scrivo di prendere le armi contro l’ordine costituito? No, non va bene, c’è il codice penale, quello con la maiuscola. E se istigo alla lotta di classe? Non va bene ancora, anche se l’originaria formulazione del codice Rocco del reato di “istigazione all'odio tra classi sociali”, va interpretata alla luce della sentenza della corte costituzionale 23 aprile 1978, n. 108 che, in parte, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 415 c.p. in quanto non specifica che l'istigazione all'odio fra le classi sociali deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità. Tale sentenza sembra aver modificato il reato in questione, trasformandolo in un reato di pericolo concreto (*).

Pericolo concreto minacciato da chi scrive quale cosciente volontà all’istigazione. E chi deve ravvisare il dolo? Il giudice sulla base delle circostanze del caso. E ditemi, si può scrivere di lotta di classe e di rivoluzione in termini che non pongano in discussione l’ordine schiavistico vigente e le sue leggi?

Luciano Violante, sì proprio lui, scriveva:

[…] il problema è di stabilire se, sulla base della seconda parte dell’art. 415 c.p., potrebbero essere emarginate quelle formazioni politiche riconosciute dalla Costituzione, che hanno [avevano!] il loro presupposto nella lotta di classe. Il pericolo appare evidente specie in periodi di particolare debolezza politica di tali gruppi e non è probabilmente un caso se le condanne per questo delitto spaziano nel decennio degli anni ’50.

In altri termini, quando la lotta di classe non è un pourparler ma incalza gli interessi dominanti, allora le leggi s’interpretano ad hoc. Dunque il punto non è la libertà di stampa, che in linea teorica non si discute, ma chi decide, qui e altrove, di tale libertà secondo le “circostanze del caso”.

(*) La Corte si era espressa in tal senso anche nel 1966, e dunque significa che tale intervento si era rivelato insufficiente. E con la sentenza del 1978? Essa di fatto lascia ampia discrezionalità agli inquirenti e ai tribunali, poiché s’è vero che la sentenza di riforma, stabilendo che l’attività di esternazione e di diffusione di queste dottrine che non susciti di per sé violente reazioni contro l’ordine pubblico o non sia attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità, non è in contrasto con quanto previsto dall’art. 21 della Costituzione, è pure vero quanto detto sopra e cioè che non si può scrivere di lotta di classe e di rivoluzione se non in termini di sovvertimento dell’ordine vigente.


Sulla base della normativa vigente, riformata, posso assicurare che anche in taluni scritti di Giuseppe Mazzini si potrebbe ravvisare l’istigazione alla disobbedienza delle leggi e a commettere gravissimi delitti.

1 commento:

  1. i giornali nascono con l''opinione borghese fatta pubblica quindi proprio per la lotta di classe allora in corso; allora i signori concedevano camere basse, costituzioni octroyée e si pubblicavano opinioni al riguardo, ma alcuni signori non si srassegnavano e sostenevano ancora che l'unica sede del confornto popolare con il potere doveva essere la chiesa, la libertà nel Signore ecc. Solo la violenza rivoluzionaria si è incaricatra, laddove si è sviluppata, di decapitare quei signori.
    Allora il gioranle per come lo conosciamo non è qulacosa di alieno alla lotta di classe, anzi, è nella sua natura, ma proprio per questa ragione la lotta di classe antiborghese (liquidare la borghesia come classe) deve trovare nuovi supporti (liquidare il giornale come borghesia) e l'internet per ora si è dimostarto insufficiente e troppo simile alle tv.
    Intatno oggi, in Italia, si abolisce la camera alta e i riformisti prendono a calci la propria costituzione dall'interno; per non parlare delle frizioni con la magistratura. I giornali diventano gli antichi signori codini e reazionari che predicano l'opinione pubblica quale unica sede del confronto col potere e la libertà possibile unicamente nelle Istituzioni Repubblicane, nel Lavoro salariato ecc. Staimo parlando di un paese dove il principale partito è costretto a chiamarsi "democratico" e il principale giornale "repubblica"...

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