martedì 3 giugno 2014

Un paese che non ha vergogna


L’immagine è quella del palco, il due di giugno, lì dove stanno i rappresentanti delle istituzioni, a cominciare dal presidente (*), classe di ferro quella del 1925, poi le pronipoti sorridenti, i generali. Costo della parata: 2 milioncini di euro, circa 30% in più del 2013. E, lontano, in un'altra città, in un’altra piazza, sotto un altro cielo, stanno i costituzionalisti e giornalisti famosi a difendere la Carta. I fascisti (ex, fanno dire agli altri), invece, stanno dappertutto, anche sul palco presidenziale, improvvisati fotografi. Nonostante le finte epurazioni e il divieto di ricostruzione del partito, loro ci sono sempre stati.

Manco s’erano raffreddate le macerie della guerra, e loro, nel 1946, rifondavano il fascismo, chiamandolo Movimento sociale italiano. Nelle sedi delle istituzioni italiane li trovavi dappertutto, e non in posizioni defilate. I loro nomi oggi in gran parte non dicono nulla ai più giovani, promossi o ripetenti che siano, e neanche a molti dei meno giovani.



Chi si ricorda, per esempio, di Adriano Tilgher? Non quello di Avanguardia nazionale, mi riferisco al filosofo, classe 1887, che scriveva su Antieuropa (sì, c’erano gli antieuropeisti anche allora) con Alberto Savinio e Ruggero Orlando. Tra le riviste c’era l’Italia Vivente, vi scrivevano Giorgio Almirante, ma anche Elio Vittorini, Ungaretti e Soffici. Firme assortite anche in Occidente e in Mediterraneo, riviste oltranziste ed espansioniste, con Alvaro, Bottai, Quasimodo, Flaiano, tanto per citare nomi che oggi possono rievocare qualcosa di alto presso il grosso pubblico.

Dal 1936 s’incominciò a pubblicare un settimanale letterario, Meridiano di Roma, diretto dal presidente della confederazione fascista professionisti e artisti, Cornelio di Marzio. I collaboratori erano tra i più qualificati e pure, con abile scelta tattica del regime, d’orientamento politico diverso. Non so se i compensi per quelle fatiche letterarie fossero diversificati a secondo dell’orientamento politico, fatto sta che vediamo le firme di Concetto Marchesi, Amedeo Bordiga, Giovanni Papini, Romolo Murri, Mario Missiroli, Alberto Moravia, Ezra Pound, Elsa Morante e tanti altri. Non parliamo poi di Primato, rivista del gerarca Bottai, nella quale s’incrociano i nomi più rappresentativi del dopoguerra letterario, artistico, politico e giornalistico. Non mancava proprio nessuno, da Gadda a Montanelli, da Piovene a Longanesi, da Guttuso a Trombadori, da Comisso a Pratolini, ecc. ecc..

S’incominciò presto, nel dopoguerra, anche a intitolare strade a Italo Balbo, facendo finta d’ignorare chi fosse stato il quadrumviro del fascismo che aveva assaltato Parma con i suoi scherani, per dirne una e non ripetere la solita storia di don Minzoni. A Pomezia c’è una via Giorgio Almirante che s’incrocia con via Salvo d’Acquisto. Un fucilatore e un fucilato.

È questa la repubblica fondata sul lavoro (46% di disoccupati tra i giovani, 61% al Sud) e nata dalla lotta partigiana? E gli attuali alfieri di questa repubblica se ne stanno sul palco con gli  (ex?) fascisti, con nonchalance. L’ex capo dell’Msi è stato pure presidente della camera. E poi ministri, sottosegretari, eccellenze. La Rai gli fa pure gli sceneggiati agli assassini, come a Galeazzo Ciano, mandante dell’omicidio dei fratelli Rosselli. Oh, che vergogna, ma chi prova più vergogna in questo paese?

Scriveva ben oltre mezzo secolo fa Ruggero Zangrandi: «Non si può non rilevare la posizione morale di quegli altri che pretesero – e pretendono – d’essere considerati democratici, liberali, antifascisti da sempre e continuare a dir la loro, più o meno dalle stesse tribune (con in più la Rai-tv) e allo stesso pubblico (più i giovani d’oggi [che sarebbero poi i vecchi di oggi]), solo esprimendo opinioni diverse da quelle di allora – per lo più opposte –, senza che ci sia stato, non dico un atto di contrizione, ma almeno una chiara, sentita, umile – il che non guasta – delucidazione sul come e il perché poterono convertirsi, in molti casi da un giorno all’altro».

Dunque, perché meravigliarsi se oggi i figli e i nipoti di quella gente (e i cognomi ricorrono spesso) si comporta allo stesso modo?

Intanto sulla metro, a Torino, sei giovani fascisti hanno accoltellato un “antagonista” (così lo definisce la stampa) di 27 anni.


(*) I marò, citati nel suo discorso dal presidente della repubblica, a me nel nome ricordano altri marò, quelli della Decima di Borghese. Nomi, simboli e personaggi che ritornano, anzi, che non se ne sono mai andati. E non mi si venga a raccontare che il nome deriva dai fanti da mar della Serenissima e altre minchiate, con me non attacca.

  

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