giovedì 13 marzo 2014

La strana cosa



In attesa che fra due mesi s’incominci a ricevere 76,9 euro nette in più il mese (1.000 : 13) per chi guadagna fino a 1.499 euro, vado un po’ con i ricordi prima che qualche acciacco senile cancelli del tutto i miei file in bianco e nero.

Nel 1963 sentii parlare per la prima volta di crisi e di “congiuntura”, termine quest’ultimo che non mi riusciva molto chiaro e al quale gli adulti attribuivano un significato che poi scoprii essere improprio. Di crisi, a dire il vero, s’era sentito dire con allarme anche l’anno prima, ma si trattava di crisi dei rapporti internazionali, era quello l’anno dei missili a Cuba e della Terza guerra mondiale sfiorata, l’anno in cui lasciai il pennino per la biro; oggi a dirlo sembra preistoria.

Alla casa Bianca c’era Kennedy, fino a novembre quand’ebbe un incidente in itinere, al Cremlino stava Krusciov e Fanfani a palazzo Chigi. Ad Amintore successe nello stesso anno Giovanni Leone con un governo detto “balneare”, e poi, prima di natale, s’insediò Aldo Moro. Tre presidenti del consiglio in un anno. Ai nostri giorni abbiamo fatto progressi: ci sono voluti ben 15 mesi per vedere  tre culi diversi seduti su quella stessa poltrona.



L’anno dopo fu crisi della lira per attacchi speculativi. Il governatore Carli si rifiutò di svalutare e chiese e ottenne dagli Usa un prestito cospicuo. Furoreggiava un leit-motiv che sarebbe brillato per alcuni decenni: riforme. A dar corpo alle riforme ci avrebbe pensato – almeno come proposito programmatico del tirare a campare – una nuova formula politica: il centrosinistra.

Al Quirinale c’era Segni, che aveva fatto le scarpe a Gronchi, candidato a un secondo mandato con l’appoggio di Enrico Mattei, l’aspirante eminenza grigia. Il comandante dei carabinieri, ingegnere e massone, era il generale De Lorenzo, già partigiano, personaggio rilevantissimo e centrale di quegli anni, per sette anni addetto ai dossier del Sifar e firmatario del Piano Demagnetize. Pietro Nenni sentiva tintinnar le sciabole. Iniziava la carriera giornalistica di Eugenio Scalfari, ex croupier, che da direttore amministrativo de L’Espresso (una rivista di modesta veste tipografica) l’anno prima aveva assunto anche quella di direttore editoriale. Impossibile districarsi in quell’intreccio di triplo giochisti.

Verso la fine dei Sessanta, da più parti nel mondo s’innescò un imponente movimento di cambiamento sociale e di costume. In Italia le istanze di cambiamento assunsero forti connotazioni politiche, coinvolgendo masse di studenti di origine proletaria e piccolo borghese che per la prima volta avevano accesso all’istruzione universitaria. Al movimento contestativo studentesco si associò la protesta operaia che divampò con scioperi e occupazioni delle fabbriche (i giovani d'oggi non potrebbero credere a vedere le piazze e le strade affollate di operai incazzati, del resto per ordine politico i filmati delle cineteche Rai relativi a quei fatti sono stati distrutti).

In una certa misura il vecchio ordinamento sociale fu scosso fin dalle fondamenta, ma soprattutto occhi molto attenti guardavano con allarme al pericolo rosso in chiave di alleanze strategiche nel quadro dello scontro tra superpotenze. Sul piano dell’iniziativa politica ufficiale dapprima si rispose con la “strategia dell’attenzione di Moro”, ma segretamente si agiva con la “strategia della tensione”, pianificata dalla Cia con l’appoggio logistico e operativo dei servizi segreti nostrani e delle strutture militari Nato. La manovalanza era veneta, foresti invece i “tecnici” e i timer.

Nell’autunno-inverno del 1973 scoppiò la grana della cosiddetta crisi petrolifera, e si cominciò allora a parlare di austerità. Ricordo una domenica di pioggia battente con le strade della capitale deserte. Nel 1976 ci fu un nuovo attacco alla lira, l’inflazione cresceva in quegli anni in tutti i paesi, in Italia i prezzi al consumo salirono del 21,2% nel 1974, del 16,6% l’anno dopo e del 17,7 nel 1976. Difficile per i salari starci dietro, ma almeno c’era la scala mobile e gli operai erano combattivi. Anche gli studenti lo erano, infatti avevano organizzato una manifestazione a Bologna per il 12 marzo 1977. Il giorno prima un carabiniere non trovò di meglio che sparare a uno studente. Uno stalinista, certo Pecchioli, a sua volta giustificò l’assassinio. Il 13 marzo Cossiga mandò i blindati. Il quotidiano il manifesto scrisse allora di provocazioni e di minoranze avventuristiche. Mah. Ricordo giornate grigie, ancora fredde.

Si varò il compromesso storico, poi, sotto l’incalzare delle tensioni sociali, sortì da un lato la manovra keynesiana della spesa pubblica, e dall’altro i tentativi di arginarla. Erano gli anni dello scontro aperto tra capitalismo privato e quello pubblico. La grande inflazione proseguì fin dentro gli anni 1980. Anzi, si trattò di stagflazione, ossia l’intreccio strettissimo tra rallentamento progressivo dell’attività economica ed aumento del prezzo delle merci. Un fenomeno contraddittorio e in un certo senso assurdo.

Fu varato il cosiddetto Piano Triennale (1979-81), nel quale si potevano leggere cose che sentiamo dire anche oggi: “il disavanzo delle amministrazioni pubbliche e del settore pubblico allargato è in crescita continua”; si “mantiene basso il tasso di crescita interna e soprattutto della domanda per gli investimenti”, e perciò “Con questa visione è necessario affrontare due determinati fattori d’instabilità strutturale: l’evoluzione della finanza pubblica e l’andamento del costo del lavoro” (*). Il piano rimase sostanzialmente lettera morta, si fece avanti l’Europa, il Sistema monetario europeo e i suoi diktat. Allora come oggi il sistema politico è incapace d’iniziativa economica autonoma, ora poi inibita da ogni genere di vincoli.

Ho scritto queste note per far memoria, un po’, su come a distanza di decenni si parli delle medesime cose: sulla crisi, il costo del lavoro, la crescita e la competitività. Eppure il mondo è cambiato assai: a Washington il presidente è un mulatto, in Russia non c’è più il socialismo reale, Berlino è tornata ad essere la capitale del Reich, Parigi non è più quella di una volta già da mezzo secolo, Pechino ha ospitato i giochi olimpici, nella comunicazione sociale è arrivato internet, una rete elettronica dove ognuno può collegarsi e dire la sua in faccia al mondo, sicuro che nessuno ci farà caso.

È vero che a Roma il compromesso storico è roba di modernariato, ma solo nella dizione; nella sostanza c’è di peggio, ci sono le larghe intese, con l’ex DC e l’ex PCI insieme in uno stesso partito a fare i governi con le destre e gli ex fascisti di Almirante (il suo delfino è diventato addirittura presidente della camera). Inossidabile è rimasto Eugenio Scalfari che parla di competitività e di austerità. Però ci sono stati anche da noi cambiamenti sostanziali: la liretta non c’è più, sostituita dal marco, la struttura produttiva è in liquidazione, la proprietà pubblica svenduta. I problemi da politici sono diventati di natura antropologica, così almeno tendono a dire gli esperti della strana cosa. E siamo portati, al punto in cui siamo, pure a crederci.


(*) Atti Parlamentari (VII Legislatura), Camera dei Deputati, doc. XXVI, n. 1, Programma Triennale 1979-81, presentato dal Presidente del consiglio dei ministri alla Presidenza il 15 gennaio 1979, pp. 11-13.



4 commenti:

  1. Bello l'excursus storico, impossibile non avere un po' di nostalgia per i bei? tempi andati....

    Tante parole sono rimaste uguali ad allora- riforme, sviluppo- altre se ne sono aggiunte-competitività, semplificazione, mercato.

    La sostanza è rimasta quella anche se è cambiato tutto: non c'è più la società ma solo gli individui, il pubblico è descritto praticamente come quello che "faceva anche il panettone", privatizzare è necessario...

    Intanto la spesa più alta è quella per pagare il debito che negli ultimi anni grazie alle politiche di austerità bipartisan altro non ha fatto che aumentare. Non si sente più "tintinnar di sciabole" ma in compenso credo che sarà utile ripassarsi la lettera/manifesto politico spedita dalla Bce di due estati fa...

    Se il compromesso storico di allora- di cui il Pecchioli citato era uno dei cani da guardia- oggi si chiama larghe intese c'è un altro numero a cui che chi governa difficilmente rinuncia: sgravi, soldi, briciole poco prima delle elezioni. Europee, in questo caso. Lo stile è cambiato, ma la sostanza è ancora quella vintage di mamma Dc che almeno non faceva televendite
    Intanto-tra una slide e un'altra- qualche risposta c'è: nel piano casa si trova il divieto retroattivo alla residenza e all'allaccio alle utenze per chi occupa una casa, i contratti a termine vengono liberalizzati e chi è assunto deve dimenticarsi dell'art. 18, gli F35 saranno acquistati tutti...

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    1. ed elemosine prima delle elezioni, come con la vecchia DC. la camusso plaude

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  2. Nel bignamino di Storia forse mancano due passaggi degni di nota:

    - per lo struggente fogazzariano : tra il pennino (intendendosi cannuccia&pennino) e la biro dovrebbe trovarsi la stilo (la più diffusa interclassista Pelikan di colore verde e nero con ricarica a pompetta)

    - per l' economista : la separazione della Banca d'Italia dal Ministero del Tesoro a cura di Beniamino Andreatta

    Rendendomi conto che sul lessico si possano innescare seri confronti ideologici, proporrei la formula 'problemi antro-politici' che potrebbe
    garantire la sintesi per una felice e tranquilla coesistenza.

    lr

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  3. cambiare tutto affinché nulla cambi [cit. Sciascia.........anzi no]
    AG

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