venerdì 4 gennaio 2013

A meno che



L’assuefazione al peggio che ci attanaglia tutti può portare a scegliere il “meno peggio”? Sembrerebbe tale scelta di ripiego una soluzione di pragmatico buon senso, un calcolo razionale, ma è effettivamente così? Ognuno risponde per sé e non ho la pretesa di interferire sulle scelte legittime e cristalline di altri, tanto più quando sono corroborate da personalissime e articolate argomentazioni, ivi compresa l’immancabile riserva che chiamo pentimento preventivo a futura memoria.

È, quella sulla scelta del “meno peggio”, una domanda che inevitabilmente capita tra i piedi a chiunque non pratichi il voto elettorale come una scelta condizionata dall’appartenenza a un partito padre-padrone o per un malinteso senso civico e simili. Per quanto mi riguarda non si tratta però di una domanda inesausta, in quanto a essa ho già dato risposta. Non che non si possa cambiare opinione secondo il mutare degli eventi e delle stagioni della vita, per carità, ma quando si sostiene, come sostengo convintamente e ripetutamente da lunga data, che la democrazia, questa democrazia, è diventata solo una scatola vuota, l'involucro del potere intangibile soprattutto di una classe sociale che fa e disfa come vuole ed è interessata a mantenere lo status quo, allora poi è difficile per me trovare dei motivi – anche i più minuti e pratici – per mutare repentinamente atteggiamento verso il voto elettorale in costanza della medesima situazione di fatto. E che le circostanze sociali ed economiche non siano mutate non è una semplice sensazione e faccio grazia ai lettori del blog di non dovere motivare una volta di più il perché e il percome.

A meno il mio mutamento d’opinione e l’adesione al voto non risponda, e ciò è sempre possibile, a un’illusione stravagante da farmi ritenere si possa in qualche modo porre un freno a ciò che ci sta capitando addosso in nome di questo e di quello. Ma come, dopo che il Pd ha votato la fiducia al governo Monti, quindi il pareggio di bilancio in costituzione e dopo che è passata unanime la riforma delle pensioni per molti aspetti iniqua e demenziale, quindi l’abrogazione dell’articolo 18? Si dirà: il Pd vi è stato costretto. Ah, sì? Ma l’abbiamo letta l’illuminante intervista di Bersani al Wall Street Journal sul proseguimento della linea Monti – Merkel, e cioè che tutti gli impegni europei dettati dalla Germania verranno rispettati e non rinegoziati? È evidente, a me pare, che il Pd non ha un chiaro programma popolare sulle tasse e la spesa pubblica, attaccato all'idea che basti liberalizzare per fare crescere l'economia (le lenzuolate), così come è ecumenico il punto di riferimento culturale e politico dichiarato da Bersani (papa Roncalli) e quello del cattolico Nichi Vendola (il defunto cardinale Martini). Inoltre, il Pd non vuole identificare avversari politici e nemici sociali, mentre la gente soffre, le fabbriche chiudono, aumenta la disoccupazione e cresce la rabbia della maggioranza delle famiglie che non arrivano alla fine del mese e che non sanno come dare un futuro ai loro figli.

E ancora: a meno il mio mutamento d’opinione e la mia adesione al voto non risponda a un bisogno diverso, a uno dei tanti che gli strateghi della manipolazione sanno bene come interpretare e suscitare, tanto è vero che l’area del non voto o quantomeno dell’indecisione cala progressivamente e infine drasticamente nell’imminenza delle elezioni per poi risalire man mano che, dopo la festa dei numeri e delle percentuali, ritornano a far capolino le disillusioni di sempre e viene finalmente pronunciata la fatidica frase: sapevo e l’avevo detto che poi sarebbe andata così. Colpa di questo e di quello ma non mi fregheranno più.

È, in fondo e grossomodo, il medesimo meccanismo che regola i consumi natalizi, l’acquisto di quelle cose che sappiamo superflue o che ci possono causare una cattiva digestione. Per fortuna che la Befana (come le elezioni) tutte le feste (e le illusioni) porta via.

1 commento:

  1. Basta coi compromessi!!! Siamo tanti ma diluiti, dovremmo averne coscienza.

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