mercoledì 3 ottobre 2012

Farabutti



Un amico mi segnala l’ennesimo articolo sulla produttività del lavoro. In questo articolo di Repubblica si dice che:

L'italiano lavora tantissime ore: 1.774 in un anno, in media Ocse (1.775), ma ben 200 ore sopra la media dell'Eurozona (1.573) e addirittura 363 aggiuntive rispetto ad un tedesco.

Eppure, dicono, la produttività è scarsa, scarsissima. E allora che si fa? I soliti cialtroni di confindustria e del governo, quelli che guadagnano in un anno due o dieci volte quanto guadagna un salariato nell'intera vita, affermano che sarebbe utile "lavorare qualche ora in più". Se loro lavorassero almeno quanto un salariato!

Verrebbe da chiedersi: possibile che queste emerite teste di cazzo (come chiamarle altrimenti?) non si rendano conto che la produttività del lavoro non dipende soltanto dal virtuosismo dell’operaio, dalla quantità delle ore lavorate, ma anche dal livello e dalla perfezione dei suoi strumenti. Cucire un abito con ago e filo non è sicuramente produttivo come cucirlo a macchina con una Singer a pedale. Né è la stessa cosa produrlo industrialmente.

E questo fatto lo capiscono molto bene, altroché. L’aumento dell'estrazione di plusvalore dalla forza-lavoro, si ottiene in due modi: aumentando le ore di lavoro lasciando invariati i salari, e riducendo questi ultimi come già sta avvenendo. Questo fatto non è privo d’implicazioni, le quali solo a prima vista possono essere considerate teoriche, ma invece si tratta di una delle principali contraddizioni del modo di produzione capitalistico, tra processo lavorativo e processo di valorizzazione.

Nel primo caso, l’aumento delle ore di lavoro lasciando invariati i salari, cioè l’estrazione del plusvalore assoluto, comporta un aumento proporzionale sia dei valori d’uso che del valore del prodotto (questo si dovrebbe intuire); nel secondo caso, si tratta del plusvalore relativo, essendo basato sulla diminuzione del lavoro necessario a produrre il salario del lavoratore, per cui si tende a produrre sempre una maggiore quota di valori d’uso (produttività) ma si ottiene (sembra un paradosso ma non lo è) un minor valore (di scambio). 

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