lunedì 4 ottobre 2010

La curvatura erotica del vecchio Eugenio


Eugenio Scafari, l’ex bancario ora approdato alla speculazione filosofica dopo aver frequentato a lungo quella giornalistica, si gode “un felice giorno di tregua politica” e può quindi dedicarsi ai grandi temi. E sceglie un tema “sul quale mi sembra opportuno fare chiarezza per poter meglio colmare un’evidente lacuna che affligge le nostre società, quelle ricche e quelle povere, ad Occidente e a Oriente del mondo” [qui].

Quale potrà mai essere quindi il tema che affligge l’umanità ad ogni latitudine a tal punto da scomodare la riflessione di uno dei massimi pensatori contemporanei al fine di colmare  tale straordinaria “lacuna”? “Posso dunque dedicarmi oggi al tema dell'amore”, chiarisce Scalfari. Perbacco! E lo fa da par suo, partendo ab ovo, come si sul dire, dalle società classiche fino a quelle dei nostri infausti giorni, dando un’occhiata al medioevo e all’illuminismo, il quale ultimo tanta parte ha avuto nell’affliggere l’umanità su tale scottante questione dell’amore.
« […] nelle civiltà antiche  gli uomini si realizzavano nella "polis" della quale la famiglia e la tribù costituivano le cellule. L'amore faceva parte dei valori familiari, incoraggiati e protetti dagli dei del luogo. Si amavano i genitori, si amavano i fratelli e le sorelle, si amava la sposa, fonte di procreatività».




Se si trattasse esclusivamente di amore o anche d’interesse, non è il caso di discutere, ma sicuramente Scalfari coglie anche del vero, fatta eccezione per la pederastia largamente diffusa in Grecia. «Il comportamento sessuale delle cittadine – scrive Sarah B. Pomeroy – era regolato da leggi, la maggior parte delle quali attribuite a Solone, che era egli stesso un omosessuale». Quindi l’adulterio soprattutto maschile dominante nella società romana, la prostituzione presente ad ogni angolo di strada, l’incesto, ecc.. Ed infatti, Scalfari, temendo di essersi spinto un po’ troppo in là nella rievocazione romantica, soggiunge: «Naturalmente i sentimenti amorosi finivano, allora come oggi e come sempre, anche al di fuori del recettacolo familiare, ma era un fatto privato e quindi del tutto irrilevante [?!]. Se però diventavano una sfida contro la famiglia l'irrilevanza diventava colpevolezza e veniva repressa con la massima severità».

E quando e perché, di grazia, diventavano una sfida? Nell’Impero c'era la pena capitale per la donna libera che avesse avuto rapporti con uno schiavo, e per questi il rogo. Chiedo: questa legge era il risultato del timore costante che le donne libere si prendessero con gli schiavi le stesse libertà degli uomini, o si trattava anche di una questione che andava al di là della “libertà” e che inferiva la difesa del patrimonio?

A proposito dell’incesto, Scalfari rammenta: «L'incesto del resto rappresenta un elemento spesso presente nell'amore familiare; Edipo e il suo destino ne costituiscono il fondamento, non a caso recuperato da Freud come uno degli elementi fondanti della psicologia del profondo».

Insomma i rapporti familiari, a ben vedere, non erano poi così idilliaci rispetto a quanto verrà dopo. Così come a Scalfari non viene in mente che la famiglia della classicità a cui egli allude è la famiglia che gode dei pieni diritti di cittadinanza nella “polis”, ma nulla ci dice della moltitudine delle famiglie degli schiavi, le quali ovviamente subivano sorte alquanto diversa, di fatto e di diritto. E accanto alla differenza tra liberi e schiavi, esisteva anche quella tra ricchi e poveri, distinzione tutt’altro che estinta ai giorni nostri e che qualche ricaduta nei rapporti familiari, nell’amore (come piace dire ad Eugenio), produce pure.

Scalfari comunque è ammaliato dalla “psicologia del profondo”, e come tutti gli ideologi borghesi sovraccarica la coscienza e il comportamento di significati sessuali, in tutto fedele all’esperienza interna soggettiva e introspettiva, che sfora spesso in un grossolano biologismo, cioè nelle radici stesse psico-fisiche dalle quali poi i freudiani fanno nascere il sogno e il sintomo patologico.

Non manca in tale rievocazione dell’amore e dei rapporti familiari e sociali antichi la citazione della fonte storica autorevole e cristallina: le tavole mosaiche! «Le quali «contengono la normativa più antica dell'amore familiare: "Onora il padre e la madre. Non commettere atti impuri. Non desiderare la donna d'altri"».

Sorvolando sul fatto che il codice di Hammurabi è di gran lunga più antico di Esodo e Deuteronomio, le tavole mosaiche che intende Eugenio sono, tra l'altro, quelle rivedute e corrette dai cattolici romani, poiché il precetto relativo agli “atti impuri” in realtà nella versione ebraica recita: “non commettere adulterio”.

Il nostro filosofo di Civitavecchia non poteva tacere «La predicazione di Gesù tramandataci dai Vangeli» la quale, come si insegna a catechismo, «è  intrisa di amore e questa è la grande innovazione rispetto al monoteismo ebraico che descrive il dio biblico come il condottiero del suo popolo, ancorato alla severità della Legge».

Tutto questo ed altro ancora serve a Scalfari per rivelare all’umanità “afflitta” in definitiva che cosa?
«È a questo punto che l'amore verso l'amore riacquista peso e può  – potrebbe  –  intrecciarsi alla solidarietà laica e alla "caritas" cristiana verso il prossimo, con uno spessore sociale in grado di soverchiare l'egoismo esasperato e l'amore egolatrico verso il proprio ombelico.

Questa è la scommessa affidata al futuro: un mondo dove l'essere assume una curvatura erotica capace di avere la meglio sull'istinto del potere».


Scalfari metastoricizza e identifica al primordiale istinto del potere i rapporti sociali e conseguentemente quelli tra uomo e donna, per coronare il suo auspicio di una nuova asettica alleanza tra laicismo solidale e cristianesimo caritativo, proclamando la liberazione dell’umanità per mezzo dell’”amore”. Pensa un po’ come se la cava a buon prezzo l’ideologia borghese oggi.

Nessun commento:

Posta un commento