venerdì 30 luglio 2010

Exit strategy


Altri due corpi dilaniati tornano in Italia dall’Afghanistan. Non sono figli di borghesi, di industriali o politici, sono i corpi di due proletari. Si dirà: non erano obbligati ad andarci. È vero; nemmeno morire in un cantiere è obbligatorio. Sì, ma è diverso. Sarà, ma andate a raccontarlo alle famiglie dei morti.

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Qual era l’exit strategy dell’impero romano (anche dopo, quando si divise in due parti) nei riguardi dei “barbari” che minacciavano le frontiere? Dal primo impero la strategia principale fu quella di versare tributi, fin che ciò poteva bastare. Quando non bastava più, c’era la guerra (Traiano). In seguito, quando l’impero entrò in crisi, l’exit strategy fu una sola: pagare e poi pagare ancora. Fino a quando non arrivarono gli Unni (la prima volta, nella seconda metà del IV sec.). A quel punto le popolazioni gote (ma anche altre) furono costrette a chiedere l’ingresso nell’impero per sfuggire al massacro, di poter cioè attraversare il Danubio. Il resto della storia è noto, e anche come finì meno di un secolo dopo.

Anche l’exit strategy di David Petreus è la medesima: pagare. In Iraq e in Afghanistan, ovunque serva. Dopo nove anni di guerra rovinosa, non resta che mettere a libro paga i talebani buoni, poi i così e così e infine anche i cattivi. La storia è un’ottima maestra, ma non trova alunni.

Paradossalmente la singola potenza che investe complessivamente più risorse in armamenti che il resto del mondo, non riesce a battere una guerriglia armata prevalentemente di armi individuali, priva di mezzi corazzati e di aviazione. Una potenza alla quale si aggiungono le maggiori potenze occidentali.

La responsabilità maggiore della situazione creatasi, non certo da ieri, nel Vicino e Medio Oriente, è degli Usa. Hanno stroncato ogni velleità del nazionalismo arabo, per poi strumentalizzare l’islamismo, in chiave antinazionalista e antisovietica, fino a quando non gli si è rivoltato contro. La frittata è fatta, le uova non si possono ricomporre. Non sapendo più come uscirne, guerreggiano e pagano.
Del resto, la quantità di denaro speso ogni anno in cibi per animali domestici negli Stati Uniti ed Europa sarebbe sufficiente a fornire cibo e assistenza sanitaria di base a tutta la popolazione dei paesi poveri, e ne avanzerebbe anche una discreta somma. Ma uno scenario simile è improponibile in un sistema mondiale dominato dagli imperialismi.  Così come l’idea di rimodellare la cultura islamica (esportare la democrazia) è evidentemente una sciocchezza.
Su tale scacchiere, in particolare, si confrontano troppi interessi perché si possa trovare una sia pur provvisoria soluzione diplomatica. A scontrarsi con gli interessi strategici americani e nord atlantici  non ci sono solo i taleban, l’Iran e Israele, ma anche il Pakistan e l’India, la Cina e la Russia, alle quali non dispiace che gli Usa si trovino in mezzo al guado.

Ad ogni buon conto, per quanto gravi siano le responsabilità dell’imperialismo americano e nord atlantico, non bisogna essere miopi al punto da sottovalutare il fatto che l’islamismo rappresenta una minaccia reale per l’Occidente, tenuto conto che con il fanatismo religioso non c’è margine per trattare.

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