giovedì 11 marzo 2010

Buoni preti



 

 
Il Sole24ore, sempre più organo della corrente metafisica dell'imprenditoria nazionale, pubblica oggi un articolo di Ettore Gotti Tedeschi, adepto dell'Opus Dei e capo del commendevole IOR:

Continuiamo a notare, opportunamente, una grande ansia di richiamare esigenze di etica e di fare proposte di nuovi modelli di capitalismo. Temo però che grandi soluzioni con questo approccio giuridico economico sul capitalismo o sulla responsabilità sociale dell'impresa non si troveranno. Soluzioni vere si produrranno solo se si hanno idee e progetti per cambiare l'uomo anziché gli strumenti. E questo non è un mestiere da giuristi, economisti, sociologi o filosofi. Io penso che sia piuttosto un mestiere da "buoni preti".
Sarò provocatorio, ben conscio di proporre considerazioni che non saranno condivise. L’uomo non è stato creato perché lavorasse. L’uomo è stato creato anzitutto perché pensasse. Se l’uomo non pensasse prima di lavorare, lavorerebbe senza pensare e non darebbe senso al suo lavoro. La dignità dell'uomo non sta nel lavoro, sta nel pensiero precedente al suo lavoro (la famosa canna pensante di Pascal). Se l'uomo ha un pensiero vero, forte e maturo, il suo lavoro ne trae beneficio. Con conseguenze evidenti sui modelli di capitalismo migliori.
Per rimanere in tema di facezie, quando l’uomo creato ha cominciato a pensare, è stato anche il momento in cui venne cacciato  dal suo creatore e mandato a lavorare. Ma forse il signor  Gotti ci vuol ricordare semplicemente che fin da principio ciò che distingue il peggior architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Più propriamente, l’eroico Ettore, allude al pensiero separato, al lavoro intellettuale, di direzione. Bisogna sempre tener presente che questi pensatori di talento, ospiti  di Gianni Riotta, sono i più prestigiosi esponenti nazionali di un'élite culturale internazionale.
La crisi economica in corso – continua il sagace Ettore –, cui continuiamo a far riferimento, non è pertanto nel modello di capitalismo adottato, è nelle idee, nel pensiero dell'uomo di questo secolo, che si trasferisce inesorabilmente nel comportamento e nell’azione economica. Non va rinnovato pertanto il modello di capitalismo, va rinnovato l'uomo.
Secondo costui non è dunque questo sistema economico, con le sue contraddizioni e le sue crisi, a generare da un lato opulenza e dall’altro miseria, spreco e penuria, sfruttamento forsennato e depauperamento. Nossignore, la responsabilità di tutto questo non è del sistema economico e sociale in sé, ma dell’uomo, delle sue idee e del suo pensiero, “che si trasferisce inesorabilmente nel comportamento e nell’azione economica”. Dopo lo scacco di tutti i riformismi del passato,  si delinea quindi un vecchio approccio spacciato per una nuova illusione, come compimento dell'economia politica: sarebbe sufficiente un cambiamento di pensiero e comportamento, secondo le direttive morali di un “buon prete”, i.e. della dottrina morale e sociale della Chiesa (egli cita “l'enciclica Caritas in veritate”), per ottenere un capitalismo migliore.
[…] Credo che sia ora di tornare – afferma sempre più audace il nostro Ettore – a fare un po' di buona e vera morale come si faceva una volta, magari con più esempio e meno autorità, ma negli ultimi tempi si è esagerato nel contrario, abdicando al proprio ruolo, arrivando a confondere persino il ruolo stesso della morale, lasciandola subordinare a ogni moda culturale soggetta a continue evoluzioni, volendo mostrare apertura a morali adeguate ai tempi. Arrivando però a promuovere strumenti totalmente autonomi dalla morale stessa, come l'economia e conseguentemente l’uso del modello capitalistico.
Secondo l’indottrinamento di questo assiduo seminarista, per esempio, la Borsa dei valori dovrebbe diventare il tempio supremo della moralità (quella buona, del bel tempo antico), alla sola condizione che si speculi sempre con rettitudine. Questo apologeta delle sorti magnifiche e progressive del capitalismo “migliorato”, ben pasciuto e con il culo al caldo, non fa caso ad almeno tre fatti:
1) lo statuto ontologico del capitalismo è il profitto, l’accumulazione. Il lavoro, e con esso il “pensiero vero, forte e maturo”, cioè il processo lavorativo nelle sue diverse determinazioni e articolazioni, si presenta anzitutto come mezzo del processo di valorizzazione. “L’autovalorizzazione del capitale – la creazione del plusvalore – è quindi lo scopo animatore, dominante ed ossessivo del capitalista, il pungolo e il contenuto assoluto del suo operare” (questo scrive Marx, ma fin qua sarebbe bastato leggere Ricardo). Nel processo di produzione, dunque, il processo lavorativo è semplice supporto al processo di valorizzazione, semplice mezzo di produzione del plusvalore, e la sua metamorfosi – come la metamorfosi di ciascun suo elemento e le trasformazioni dei rapporti che essi stabiliscono tra di loro – si spiegano e vanno lette in questa chiave, e non nelle risibili “parole del pontefice su come si deve rinnovare l’uomo”. Allo stesso modo, non vi è alcuna “distinzione tra morale di responsabilità e morale di convinzione personale” che possa prestarsi come causa antagonista efficiente alla caduta tendenziale del saggio di profitto, e quindi alla necessità, per il capitale, di farvi fronte aumentando la produttività, cioè il saggio di sfruttamento.
2) Già Keynes, nella Teoria Generale, aveva criticato Il famoso ottimismo della teoria economica tradizionale [il buon tempo antico del nostro Ettore] – che ha fatto sì che l’economista sia considerato un Candide che, dopo aver lasciato questo mondo per la coltivazione dei suoi giardini, dice che tutto va per il meglio nel migliore dei modi possibili. […] La nostra critica della teoria neo-classica generalmente accettata è consistita non tanto nel trovare crepe logiche nella sua analisi, quanto nell’indicare che i suoi presupposti non sono soddisfatti mai o quasi mai, e che di conseguenza essa non può risolvere i problemi economici del mondo reale. Quello che il Lord dice con tatto ed educazione, può essere tradotto in questi termini: le elucubrazioni su un capitalismo sostenibile ed in equilibrio non c’entrano un cazzo con la realtà. Tanto è vero che Keynes non propone, a sua volta, una ricetta per l’avvenire (“nel lungo periodo saremo tutti morti”), ma adattabile alle contingenze del momento. Invece il nostro Pensatore, l’Ettore Gotti Tedeschi, vuole eliminare le contraddizioni mantenendo inalterate le condizioni sociali che stanno a fondamento della produzione capitalistica, semplicemente facendo leva sulla “morale” (cristiano cattolica!).
3) in un palazzo si pensa diversamente che in una capanna, e che per fame, per miseria, non hai nessuna sostanza in corpo, non hai sostanza nella tua testa, nei tuoi sensi e che perciò il cuore non può averne nemmeno per la morale.


Ma ai ricamatori di fiori retorici, ai begli spiriti febbricitanti di amore cristiano, non viene in mente di indagare la funzione storica di ciò che è male secondo la morale. Non viene in mente che l’uomo non è stato “creato”, e che il suo “pensiero”, le sue “idee”, sono un prodotto della sua attività, del suo essere sociale, delle sue contraddizioni, della sua avidità, delle sue illusioni. Non esistono buoni pastori, ma solo lupi travisati e gerarchie, il reale dominio dei poteri materiali e spirituali.

2 commenti:

  1. Magister, ma quanta vodka bevi prima di commentare gli editoriali? Prima di commentare è necessario studiare, studiare, studiare...
    Troppo facile giocare con le parole in libertà...Saverio III

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  2. bevo con moderazione, costrettovi dal fatto che diverse legislazioni vietano ormai quasi tutto ciò che non è fabbricato industrialmente, e perciò delle bevande di un tempo è rimasto solo il ricordo e qualche etichetta, ma non il gusto.
    La ringrazio x la critica puntuale e di merito, come del resto si addice ad uno studioso come lei

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