lunedì 22 febbraio 2010

italia amore mio

Un processo troppo breve per Silvio

«Lo stato protegge ancor oggi il sanguinario regime di Cadorna [cioè dei Savoia]. Nel 1990, un pronipote del caporale Silvio Ortis, messo a morte per un clamoroso errore giudiziario nel 1916, cercò di riabilitare il nome del suo avo presentando una domanda di grazia. Dopo otto mesi, il tribunale militare di Roma rispose ineffabile che, secondo la legge vigente, sola la “parte in causa” poteva richiedere la grazia. Dato che Silvio Ortis non aveva presentato personalmente la domanda di grazia, questa era inammissibile. Quando la sua istanza venne respinta, il discendente scrisse al presidente della Repubblica. Nel 1998, la tenacia portò i suoi frutti: un deputato al Parlamento acconsentì a proporre un emendamento che consentiva a un coniuge o congiunto di presentare una domanda di grazia a nome della parte in causa. L’emendamento venne presentato al Parlamento nel 2001 e nel giugno 2006 una sottocommissione doveva esaminarlo per l’approvazione. Al momento in cui scrivo [2009], è ancora insabbiato» [*].

Nato a Paluzza, in Carnia, Silvio Ortis, giovane muratore senza istruzione, partecipò alla guerra di Libia dove fu decorato con due medaglie al valor militare. Scoppiata la guerra fu arruolato negli alpini e combattè sul fronte carnico non lontano da suo paese. Per aver discusso, da conoscitore della montagna e sopratutto della zona di operazioni, un ordine d'attacco suicida impartito da un suo superiore, fu condannato a morte per insoburdinazione e fucilato il primo Luglio 1916 assieme ad altri tre suoi commilitoni, Basilio Matiz di Timau, Giovan Battista Coradazzi di Forni di sopra e Angelo Massaro di Maniago, dopo un “processo” sommario condotto con spietata freddezza.

Mi chiedo: perché presentare una domanda di grazia per un uomo fucilato innocente e senza un vero processo? La risposta potrebbe trovarsi nel fatto che il nome di Ortis non può trovare posto, in quanto “colpevole”, tra quelli dei caduti nel monumento a Paluzza. Ed infatti, coloro che hanno a cuore la sua memoria, gli hanno dedicato un cippo a parte. Tanto meglio quindi, potevano evitare da subito di produrre istanze dirette a uno Stato ordinariamente infingardo, classista e razzista, retto da  «una classe dirigente nazionale tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale».

Non mancarono grandiosi tradimenti e incantesimi pericolosi a quella generazione per farsi schiacciare dalla follia più grande.

[*] Mark Thompson, La guerra bianca, p. 293.

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